FACCIAMO I GIORNALISTI: LA STORIA DEGLI ULTIMI 100 ANNI

Come abbiamo lavorato
Abbiamo deciso di utilizzare delle fonti dirette per scoprire gli usi e i costumi degli ultimi 100 anni ma soprattutto come sono cambiati.
Le interviste ai nonni o bisnonni o parenti ci è sembrata l’idea migliore.
All’inizio, per preparare le domande per l’intervista, ci siamo divisi in gruppi. Ogni gruppo aveva un argomento (casa, famiglia, cibo…) su cui ha preparato le domande.
Le domande sono state lette e sistemate dalla classe al gran completo.
All’Ipercoop abbiamo fatto, inoltre, un percorso intitolato “Storie in cammino” che aveva come argomento le migrazioni e i migranti. Non solo quelle attuali ma quelle di tutta la nostra storia.
Dopo aver fatto l’intervista ai nonni abbiamo cambiato le domande e le abbiamo adattate per dei ragazzi migranti che hanno accettato di farsi intervistare da noi.

La prozia di Ginevra
Ad aprile abbiamo invitato la prozia della nostra compagna di classe Ginevra.
La signora si chiama Ernandes Iride, nacque a Savona il 16 aprile 1927. Ha iniziato raccontandoci come era una volta Savona: senza il monumento in Piazza Marconi (la Fontana del Pesce) e con poche macchine.
Solo le persone più abbienti o chi ne aveva necessità (ad esempio i medici) aveva l’auto. Era già un lusso avere il motorino: ci si muoveva per lo più a piedi o in bicicletta. Non c’erano gli autobus.
C’erano i carri che portavano le merci ed erano trainati dai cavalli, le carrozze erano utilizzate per le grandi occasioni (ad esempio i matrimoni).
C’era il tram elettrico che girava solo nel centro di Savona e arrivava alla stazione, che a quei tempi era dove c’è ora Piazza del Popolo, intorno c’erano tutti orti e non c’erano palazzi.
Il tram dalla stazione percorreva Via XX Settembre, passava davanti al porto, Via Gramsci, e poi tornava in Via Paleocapa. Era una stazione piccolina, non affollata come lo è adesso, il treno veniva utilizzato per gli spostamenti lunghi.
La scuola si trovava in Piazza Mentana (oggi Piazza Saffi), dove oggi c’è la Prefettura. Si chiamava scuola “Paolo Boselli” e nell’edificio c’erano solo le elementari.
A scuola si andava a piedi, si indossava il grembiule nero con il colletto bianco e sua mamma le metteva un fiocco rosa nei capelli.
A scuola utilizzavano un quaderno a righe e uno a quadretti (piccoli, non come i nostri), la matita, la gomma e il compasso. Si usava la penna con l’inchiostro. Sul banco c’era il calamaio dove intingevi la penna e spesso ci si sporcavano le mani e i fogli!
Si stava con le mani “in seconda”. Lei era molto brava a scuola, infatti aveva “lodevolissimo” come giudizio di comportamento. Poi le è capitata una cosa: quando suo papà è morto frequentava la quinta elementare e tutto ciò che aveva imparato fino a quel momento se lo è dimenticato.
Anche le case erano molto diverse dalle nostre: non c’era il frigo e nemmeno il riscaldamento. Avevano la stufa a legna o a carbone con la quale si scaldavano e cucinavano; solo in cucina però, le altre stanze erano fredde (si usavano dei mattoni refrattari per scaldare un po’). Il bagno era fuori sul balcone e ci si lavava in cucina.
Per la zia di Ginevra è stata un’infanzia difficile, quando è morto suo papà lei aveva solo undici anni mentre il fratello quattro, a quei tempi non esisteva la pensione e così la mamma ha iniziato a lavorare. Quando la mamma era impegnata i due fratelli trascorrevano il tempo al piano di sotto dove abitavano i nonni.
Il cibo si comprava in piccole botteghe che vedevano molte cose, tutte sfuse e non già confezionate come ora.
La mamma a pranzo cucinava la pastasciutta con il sugo, la carne si mangiava molto raramente, solo una fettina da dividere tra tutti. Loro hanno sofferto la fame perché il cibo era razionato: il pane, la pasta, le uova e l’olio si potevano acquistare per mezzo della tessera annonaria. Chi viveva in campagna era un po’ più fortunato perché aveva di che vivere. In città, invece, esisteva la borsa nera, dove quei pochi cibi disponibili venivano venduti a caro prezzo a chi se li poteva permettere. Sua mamma, ad esempio, dava ad una famiglia lo zucchero in cambio della pasta con la quale ci poteva sfamare.

I nonni di Arianna
Il 22 aprile sono venuti i nonni di Arianna per spiegarci come si viveva nel passato. Abbiamo preparato una intervista per loro.
Ecco qualche risposta che riteniamo importante.
La nonna è nata nel 1944, a 50m dal castello di Venaria, il nonno è nato nel 1931 a Torino.
La nonna di Arianna si è trasferita a Torino nel ’56.
Il nonno si è trasferito a Carrara nel 1943 perché in quell’anno i bombardamenti a Torino erano continui ed erano costretti a passare le giornate in cantina per mettersi al sicuro. Dopo pochi mesi dal trasferimento avevano iniziato a bombardare anche l’, ma non era pesante come a Torino. C’era il coprifuoco, bisognava tenere le luci spente, per fare in modo che gli aerei non potessero orientarsi. Durante la guerra la scuola era stata chiusa e la maestra aveva portato a casa sua gli studenti per insegnarci. Una volta una bomba era esplosa lì vicino.
Di solito le famiglie erano numerose e spesso dormivano tutti nella stessa stanza.
Le case erano molto fredde, il bagno era fuori, infatti tanti usavano il vaso da notte che tenevano nel comodino.
L’acqua, di notte in camera, gelava, prima di andare a dormire mettevano nel letto il “prete”, una struttura di legno con dentro un braciere per scaldare un po’ le lenzuola.
La nonna di Arianna aveva un cane, che si chiamava Adler. Il cane la accompagnava e la andava a prendere a scuola ogni giorno. Mentre camminavano Adler stava dalla parte della strada per proteggerla dalle auto.
Il cane era un pastore tedesco e si chiamava così per prendere in giro i tedeschi che avevano una postazione dentro il castello di Venaria; Adler era il nome di un loro capitano.
Il nonno aveva un gatto e quando si sono trasferiti lo hanno dovuto regalare perché non avevano potuto portarlo con loro. Dopo la partenza il gatto era tornato a cercarli per molto tempo.
Il nonno si è laureato in ingegneria meccanica a Pisa, nel ’58 ha iniziato a lavorare alla Montedison: progettava ed assisteva al montaggio degli impianti. Lo avevano anche chiamato per andare a lavorare in Russia ma ai tempi non se l’era sentita, ora pensa di aver perso una occasione importante.
Si lavorava cinque giorni a settimana, se c’era un’urgenza anche al sabato. Iniziavano alle 8 del mattino e finivano solo quando avevano finito il lavoro.
Il cibo non era molto, si comprava nelle botteghe dove le cose venivano vendute sfuse, di confezionato non c’era niente.
Ogni persona aveva una tessera per ottenere una certa quantità di latte, pane, farina, zucchero. Quando compravi qualcosa ti staccavano un buono, per sapere che non ne avevi più diritto fino alla volta successiva.
L’ultimo cortile della casa della nonna era quello dei magazzini nel quale c’era una buca enorme in cui venivano buttati i rifiuti.
La plastica non c’era, la carta veniva bruciata nelle stufe, i rifiuti alimentari venivano buttati nel buco e una volta al mese i contadini venivano a prenderli per usarli come concime nei campi.
Mangiavano anche tanti legumi secchi; il nonno della nonna quando non era in negozio faceva l’imbianchino nelle stalle e in cambio si faceva dare i legumi secchi.
Dopo la scuola i bambini mangiavano pranzo e poi uscivano a giocare per strada insieme a tutti gli altri. Erano in tanti e non c’erano pericoli. Si giocava a “campana”, si faceva il bagno nel fiume, con i pattini; i giocattoli non erano molti ma ci divertivamo lo stesso.